Contratto risolto per impossibilità sopravvenuta

Niente condanna del debitore al pagamento del doppio della caparra

Contratto risolto per impossibilità sopravvenuta

La pronuncia di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione, in quanto fondata su un fatto estraneo alla sfera di imputabilità dei contraenti,, dà luogo ai soli obblighi restitutori derivanti dallo scioglimento del vincolo contrattuale, essendo le prestazioni rese divenute indebite, ma non consente di condannare il debitore al pagamento del doppio della caparra, atteso che questa costituisce una forma risarcitoria limitata nel quantum e correlata al diritto di recesso, che, in quanto strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, presuppone l’inadempimento della controparte. Questo il paletto fissato dai giudici, chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo ad un contratto preliminare per l’acquisto di un fabbricato e delle aree scoperte di pertinenza. I giudici aggiungono che il diritto di recesso è una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l'inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell'inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale: esso costituisce null'altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti (l'inadempimento della controparte) quanto le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto), sicché il recesso è legittimamente esercitato, in uno con la ritenzione della caparra, allorché sussista un inadempimento di non scarsa importanza  e gravemente colpevole, ossia un inadempimento imputabile, venendo altrimenti meno il presupposto per l’insorgere dell’obbligo, in capo al debitore, del risarcimento del danno del quale la caparra costituisce liquidazione anticipata convenzionale e forfetaria. (Sentenza 23209 del 31 luglio 2023 della Cassazione)

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