Va rimossa la tenda che appesantisce la facciata dello stabile
Legittima la domanda avanzata dal condominio e mirata alla rimozione della tenda

La tenda era fissata al suolo su tre lati ed ancorata alla facciata del palazzo, e posta al servizio di un esercizio di bar, poiché risultata lesiva del decoro architettonico. Nello specifico, si è appurato che la tenda, appesantiva la facciata dello stabile, creava un ambiente chiuso ed alterava la simmetricità della facciata e la sua integrazione con l’edificio adiacente. I giudici ribadiscono che costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico, e, quindi, vietata come tale, non solo quella che alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico dello stabile, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio. Ai fini della tutela del decoro architettonico dell'edificio condominiale, difatti, non occorre che il fabbricato abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale fisionomia sia stata già compromessa da precedenti interventi sull'immobile. Nel valutare l'impatto di un'opera modificativa sul decoro architettonico è da adottare un criterio di reciproco temperamento tra i rilievi attribuiti all'unitarietà di linee e di stile originaria, alle menomazioni apportate da precedenti modifiche e all'alterazione prodotta dall'opera modificativa sottoposta a giudizio, senza che possa conferirsi rilevanza da sola decisiva, al fine di escludere un'attuale lesione del decoro architettonico, al degrado estetico prodotto da precedenti alterazioni. Neppure è decisiva la diminuzione di valore economico correlata alla modifica, in quanto, ove sia accertata una alterazione della fisionomia architettonica dell'edificio condominiale, il pregiudizio economico risulta conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico, che, costituendo una qualità del fabbricato, è tutelata - in quanto di per sé meritevole di salvaguardia - dalle norme che ne vietano l'alterazione. (Ordinanza 23510 del 2 agosto 2023 della Cassazione)