Condizioni psico-fisiche e possesso di hashish rendono punibile il ‘no’ al test antidroga
Decisive le dichiarazioni fatte in udienza dal carabiniere che aveva fermato l’automobilista. In sostanza, il militare dell’Arma ha riferito che il conducente presentava, al momento del controllo, occhi rossi, versava in uno stato di euforia alternata a momenti di eccitazione e sconforto, effettuava grandi movimenti, era loquace e presentava le pupille molto dilatate

Condizioni psico-fisiche precarie e possesso di hashish inchiodano l’automobilista: illegittimo il rifiuto del test antidroga. Fondamentale, nel caso preso in esame dai giudici, il riferimento alle dichiarazioni fatte in udienza dal carabiniere che aveva fermato l’automobilista. In sostanza, il militare dell’Arma ha riferito che il conducente presentava, al momento del controllo, occhi rossi, versava in uno stato di euforia alternata a momenti di eccitazione e sconforto, effettuava grandi movimenti, era loquace e presentava le pupille molto dilatate. Peraltro, è emerso che l’automobilista aveva negato di essere in possesso di sostanza stupefacente, ma la successiva perquisizione aveva rivelato, al contrario, che egli deteneva 0,3 grammi di hashish. E, non a caso, solo a quel punto i militari avevano proceduto alla richiesta di sottoporre l’automobilista al test antidroga presso una struttura sanitaria, poiché privi di apparecchiatura in dotazione, ma l’automobilista si era rifiutato di sottoporsi a qualsiasi tipo di test sanitario finalizzato a tale accertamento. Inequivocabile, quindi, secondo i giudici, la condotta tenuta dall’automobilista, anche perché per procedere agli accertamenti non invasivi oggetto del rifiuto opposto dal conducente «on è richiesto che sussista una sintomatologia che lasci sospettare lo stato di alterazione psicofisica da sostanze stupefacenti, sintomatologia invece necessaria al fine di procedere al prelievo di campioni biologici presso strutture sanitarie. Difatti, il reato di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti tossicologici è configurabile quando si rifiuti uno tra gli accertamenti previsti dal ‘Codice della strada’, poiché, in base a tali previsioni, è possibile procedere ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili, al fine di legittimare l’accompagnamento del conducente presso strutture sanitarie fisse o mobili afferenti agli organi di polizia stradale ovvero presso le strutture sanitarie pubbliche o presso quelle accreditate o comunque a tali fini equiparate, per il prelievo di campioni di liquidi biologici ai fini dell’effettuazione degli esami necessari ad accertare la presenza di sostanze stupefacenti. E l’accompagnamento è legittimo anche quando, avendo avuto esito positivo gli accertamenti non invasivi, ovvero avendo altro ragionevole motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi sotto l’effetto conseguente all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, gli accertamenti clinico-tossicologici e strumentali ovvero analitici su campioni di mucosa del cavo orale non possono essere prelevati a cura di personale sanitario ausiliario delle forze di polizia. Proprio alla luce di questi paletti, è da ritenere corretto l’operato dei carabinieri, i quali ebbero modo, nel caso specifico, di rilevare una sintomatologia significativa nel senso sospettato e corroborata dal possesso di sostanza stupefacente da parte dell’automobilista, concludono i magistrati. (Sentenza 10410 del 13 marzo 2023 della Corte di Cassazione)