Cosa affetta da vizi: alienazione o trasformazione non bastano per negare al compratore l’azione di risoluzione del contratto
Necessario, invece, che il comportamento del compratore evidenzi univocamente come egli abbia inteso accettare la cosa

L’alienazione o la trasformazione della cosa affetta da vizi non è sufficiente, di per sé, ad escludere a favore del compratore l’azione di risoluzione del contratto per vizi della cosa venduta, occorrendo a tal fine che quel comportamento evidenzi univocamente come l’acquirente abbia inteso accettare la cosa. Nel caso, poi, in cui l’azione di risoluzione per vizi, nonostante il perimento del bene, non sia preclusa, all’obbligo della restituzione specifica dei beni periti si sostituisce quello della restituzione per equivalente, che opera in via automatica, senza necessità di una specifica domanda da parte dell’acquirente. Questi i paletti fissati dai magistrati, chiamati a prendere in esame l’azione giudiziaria con cui il proprietario di un immobile ha chiamato in causa i venditori, chiedendo l’accertamento di gravi vizi e difetti, mancanza di abitabilità e irregolarità urbanistiche dell’immobile da lui acquistato. I giudici sottolineano, poi, la necessità di prove utili a certificare la volontà del compratore di accettare comunque il bene, benché pacificamente appartenente ad un genere differente (aliud pro alio) da quello desiderato e riferito al contratto, non essendo il cespite oggettivamente in grado di soddisfare le esigenze concrete di sua utilizzazione, diretta o indiretta. (Sentenza 18998 del 5 luglio 2023 della Cassazione)