Acquistato immobile realizzato in difformità dalla licenza edilizia: non automatica la risoluzione del contratto
Necessario verificare se si tratta di una limitazione del libero godimento della cosa o di una diminuzione del suo valore

A fronte della compravendita di un immobile realizzato in difformità dalla licenza edilizia, trova applicazione quanto previsto dal Codice Civile in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa venduta, a patto però che il vizio non si concretizzi in anomalie strutturali del bene e sempre che la difformità non sia stata dichiarata nel contratto o, comunque, non sia conosciuta dal compratore al tempo dell’acquisto. Di conseguenza, non ogni difformità edilizia determina automaticamente la risoluzione del contratto, dovendosi comunque apprezzare la gravità della difformità rispetto alla licenza edilizia, tenendo conto della natura e dell’intensità degli oneri e dei diritti del terzo sul bene immobile, ossia verificando se essi incidano sul bene nel modo o nella misura richiesti dalla normativa, risolvendosi in una limitazione del libero godimento della cosa medesima o, quanto meno, in una diminuzione del suo valore. Questa la chiave di lettura fornita dai giudici (ordinanza numero 31125 del 4 dicembre 2024 della Cassazione) esaminando il contenzioso relativo ad una richiesta di trasferimento coattivo di un immobile oggetto di una promessa di vendita conclusa quasi venti anni fa. In linea generale, in tema di risoluzione contrattuale, è necessario valutare la gravità dell’inadempimento. Applicando questa prospettiva alla vicenda in esame, i giudici annotano che la tettoia presente nella parte posteriore del fabbricato, e a copertura del porticato, con tegole invece che a copertura piana e a travatura aperta, non è risultata regolarizzabile con una pratica di permesso di costruire in sanatoria, essendo necessaria la sua rimozione, poiché la sua configurazione non è risultata adeguata rispetto al parere vincolante della ‘Soprintendenza, costituente il presupposto per l’autorizzazione paesaggistica, potendo solo all’esito di tale rimozione essere richiesto, previa predisposizione di un progetto ad hoc, un nuovo permesso di costruire, relativo ad una tettoia con copertura ombreggiante piana. In sostanza, l’immobile, così com’è, risulta insuscettibile di sanatoria, e nel preliminare i promittenti venditori non hanno fatto riferimento ad alcun abuso edilizio da sanare, né al fatto che i lavori – a cui era subordinata l’autorizzazione edilizia rilasciata dal Comune – non erano stati mai eseguiti. Da non trascurare, poi, i costi richiesti dalla pratica di sanatoria – con rimozione della tettoia, istanza di rilascio di un nuovo permesso e ricostruzione di una regolare tettoia – e stimati nella consistente somma di 8.000 euro. Da tener presenti, infine, l’alea correlata alla richiesta di un nuovo permesso nonché la particolare ubicazione del bene in località marittima, sicché la presenza o l’assenza di una tettoia ombreggiante costituisce non un semplice accessorio del fabbricato, bensì una componente tale da influire in maniera significativa sulla sua fruibilità e godibilità, con la conseguenza che la sua eliminazione, senza peraltro la certezza di una nuova possibilità di realizzazione, finisce per incidere, in misura apprezzabile, non solo sul suo valore, ma anche sulla sua connotazione di casa al mare. Evidente, quindi, la gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive. Sicché proprio la condizione oggettiva dell’immobile, non nota al promissario acquirente e a lui non imputabile, ha giustificato il rifiuto di corrispondere il residuo prezzo pattuito per la vendita.