Possibile ipotizzare il mero consumo personale a fronte di 64 dosi di marijuana

Rilevanti, secondo i giudici, anche le modalità di custodia della sostanza stupefacente, modalità che possono risultare compatibili con una destinazione della marijuana al consumo personale

Possibile ipotizzare il mero consumo personale a fronte di 64 dosi di marijuana

Possesso di sessantaquattro dosi di marijuana: ipotizzabile il mero consumo personale. Questa la valutazione compiuta dai giudici (sentenza numero 4809 del 6 febbraio 2025 della Cassazione) per rimettere in discussione la condanna inflitta ad un uomo che, in occasione di una perquisizione personale effettuata nella sua casa, aveva spontaneamente consegnato alle forze dell’ordine due involucri contenenti sostanza stupefacente per un peso netto pari a 16,88 grammi e corrispondente a ben sessantaquattro dosi medie.
Scenario della vicenda è la provincia abruzzese. A dare il ‘la’ alla battaglia legale è la perquisizione personale effettuata dai carabinieri a casa di un uomo, il quale provvede a consegnare spontaneamente due involucri nascosti tra le mura domestiche e contenenti sostanza stupefacente – marijuana, per la precisione – per un peso netto pari a 16,88 grammi, con un principio attivo pari a 1,612 grammi e corrispondente a ben sessantaquattro dosi medie.
A fronte di tale episodio, è inevitabile lo strascico giudiziario, con l’uomo che si ritrova condannato, sia in primo che in secondo grado, per detenzione di sostanza stupefacente a fini di spaccio. Respinta la tesi difensiva mirata a sostenere la detenzione finalizzata ad un consumo esclusivamente personale, i giudici di merito fissano la pena in sei mesi di reclusione e 1.032 euro di multa. Ciò in ragione della quantità della sostanza, peraltro deteriorabile, e considerati i precedenti penali specifici dell’uomo.
Per l’avvocato che difende l’uomo sotto processo, però, è palese l’errore di valutazione compiuto in Tribunale e ribadito poi in Appello. Ciò perché, al di là del dato ponderale, non vi sono elementi da cui desumere la finalità di spaccio in quanto, osserva il legale, non vi era suddivisione in dosi, non sono stati rinvenuti materiali di confezionamento, la droga non era particolarmente occultata, non è stata trovata né sostanza da taglio né bilancini. E illegittimo, sempre secondo il legale, è il riferimento ai precedenti specifici del suo cliente al fine di ricavarne un elemento indiziario della finalità di spaccio.
In aggiunta, poi, il legale ritiene una forzatura anche il riferimento all’asserita deperibilità della sostanza stupefacente quale elemento da cui evincere la non compatibilità della detenzione con l’uso personale, anche tenendo presente che la marijuana rinvenuta dai militari dell’Arma poteva comunque essere consumata nel giro di pochi giorni e che sono necessari ben quattro anni per perdere solo il 16 per cento del principio attivo.
A fronte delle obiezioni sollevate dalla difesa, i magistrati di Cassazione ritengono discutibile l’esclusione, sancita in Tribunale e confermata in Appello, della detenzione della sostanza stupefacente per uso personale.
Incontestato il possesso della marijuana, consegnata spontaneamente ai militari dell’Arma, il giudizio di responsabilità penale si è fondato su tre elementi, cioè il dato ponderale, la deteriorabilità della sostanza, i precedenti specifici dell’uomo. Ma, osservano i magistrati, in generale la valutazione in ordine alla destinazione della droga (se al fine dell’uso personale o della cessione a terzi), ogni qualvolta la condotta non appaia indicare l’immediatezza del consumo, deve tener conto anche del quantum. E, nello specifico, nell’ambito di tale valutazione, il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dalla normativa, se non costituisce prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può legittimamente concorrere a fondare, in presenza di altri elementi, la prova della destinazione dello stupefacente a terzi. Però, aggiungono i magistrati, accanto al dato ponderale, già di per sé significativo, assumono poi rilievo le circostanze dell’azione, l’essere la sostanza già frazionata e dunque pronta per la cessione, la predisposizione di strumentazione per il confezionamento.
Ampliando l’orizzonte, poi, i giudici aggiungono un ulteriore tassello: ai fini della configurabilità del reato di illecita detenzione, la destinazione della sostanza stupefacente all’uso personale non ha natura giuridica di causa di non punibilità, mentre non è onere dell’imputato darne la prova, gravando invece sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio.
Tirando le somme, per i magistrati di Cassazione è palese l’errore compiuto in Appello, laddove si è desunta la finalità di spaccio dal dato ponderale (sessantaquattro dosi di marijuana), dalla deteriorabilità della sostanza – elemento che, tuttavia, non è stato coordinato con la capacita di consumo giornaliero dell’uomo –, nonché da un elemento estraneo, all’evidenza, alla valutazione della sussistenza della fattispecie di reato contestata, ossia i precedenti specifici dell’uomo.
Tirando le somme, il giudizio espresso in secondo grado si è fondato su dati fattuali o incongrui o non adeguatamente esplorati, tenuto conto altresì che le modalità di custodia della sostanza stupefacente risultano invece compatibili con una destinazione della marijuana al consumo personale, chiosano i magistrati di Cassazione.

News più recenti

Mostra di più...